mono no aware

 

 

Hobo's log

Un sacerdote incontr? un giorno un maestro zen e, volendo metterlo in imbarazzo, gli domand?: "Senza parole e senza silenzio, sai dirmi che cos'è la realtà?" Il maestro gli diede un pugno in faccia.






21/04/2003

 
Carabinieri sul tavolo della pace
di Pierluigi Sullo (www.carta.org)

È proprio vero, come si dice, che le tragedie si ripresentano spesso in forma di farsa. Si prenda ad esempio la faccenda dell'invio di tremila uomini in armi [carabinieri e altre specialità delle forze armate] in Iraq, a proteggere, dice il governo, i convogli umanitari. Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, l'Italia, che pure era alleata di Germania e Austria-Ungheria, dichiarò la sua "non belligeranza": un anno dopo, dichiarò guerra ai suoi ex alleati. Nel 1939, l'Italia fascista, che pure aveva stretto un "patto d'acciaio" con la Germania, dichiarò la sua "non belligeranza", mentre le armate hitleriane invadevano prima la Polonia e poi la Francia. Circa nove mesi dopo, si racconta, Mussolini disse: "Abbiamo bisogno di qualche migliaio di morti da gettare sul tavolo della pace", e dichiarò guerra alla Gran Bretagna e a una Francia sul punto di arrendersi.
Passato più di mezzo secolo, Berlusconi replica, forse senza nemmeno saperlo, quelle due tragedie. Ma, appunto, con lo stile del cabaret. Il filo logico, diciamo così, è questo: la guerra è finita, gli americani hanno vinto, c'è una bella porzione da prendere. C'è però un problema: abbiamo dichiarato di essere un paese "non belligerante", anche perché la guerra non ha alcuna legittimità, dal punto di vista delle leggi internazionali ecc. Dunque, come si fa a gettare qualche migliaio di carabinieri sul tavolo della pace? Idea: dicendo che vanno lì per proteggere gli aiuti umanitari, che, nel clima di saccheggi, disordine e violenze in cui l'Iraq è precipitato, corrono rischi.
Del nostro paese amiamo molte cose, moltissime. Bisogna però riconoscere che noi, gli italiani, abbiamo molti difetti. Specialmente le nostre classi dirigenti. Che non resistono alla tentazione dell'imbroglio [parola che viene citata, in ogni angolo del mondo, in italiano, come "pianissimo" per la musica, "spaghetti", ecc.]. Le cose che il ministro degli esteri Frattini, per conto di Berlusconi, va dicendo in giro sono così puerili che le opposizioni, se non condividessero quello stile, dovrebbero insorgere e arrampicarsi sui banchi del governo, come usava quando l'opposizione era una cosa seria.
Primo: la guerra non è finita per niente, e anzi si allarga, come dimostrano le minacce martellanti alla Siria. Secondo: il caos in Iraq è il frutto della guerra ed è stato lasciato dilagare dagli anglo-americani per incapacità e per qualche scopo, che ha a che fare con la ricomposizione di un governo fasullo ai loro ordini. Terzo: portare aiuti umanitari con le armi è proprio ciò che non bisogna fare, se si vuole evitare di apparire una parte in conflitto, e non parte neutrale interessata solo alla sopravvivenza delle persone, e infatti Emergency va avanti e indietro da giorni, disarmata. Quarto: il desiderio di far quadrare una obbedienza canina agli Usa con gli interessi delle imprese italiane - che vogliono aggiudicarsi qualche appalto per ricostruire con i soldi del petrolio iracheno quel che le bombe americane hanno distrutto - è talmente trasparente che solo Francesco Rutelli riesce a non vederlo. Quinto: la guerra era illegale quando è cominciata, e lo resta anche se i bombardamenti sulle città sono finiti.
Quest'ultimo punto è quel che dovrebbe convincere Ds e Margherite a votare contro. E infatti D'Alema, un paio di giorni fa, ha detto che senza Onu, ecc. Ma, nel frattempo, gli strateghi dell'Ulivo devono aver calcolato che: a] aiutare la gente in Iraq, sebbene con le truppe, non è poi così orribile; b] gli industriali sono essenziali, se si vogliono vincere le elezioni; c] ancora più essenziale è, sebbene con distinguo, diciamo sulla linea di Blair, allinearsi al grande fratello di Washington. E che, infine, per invocare l'Onu ecc. perché scongiuri la prossima guerra, quella alla Siria, c'è sempre tempo.
Non c'è da vergognarsi? Macchè. Eppure, sarà un'impressione, sarà un eccesso di ottimismo, ma girando per le città l'impressione è che le bandiere della pace, alle finestre, invece di scomparire si stiano moltiplicando. Magari, questa volta i furbastri dell'Ulivo pagheranno dazio per tutti i loro "se" e "ma" e "cosa mi conviene?" [il 25 maggio si vota in molte città e province: tenetelo a mente, al momento di tracciare una croce]. E anche fermare un treno carico di carabinieri, forse, è più facile che con quelli della Us Army.Carabinieri sul tavolo della pace
Pierluigi Sullo
È proprio vero, come si dice, che le tragedie si ripresentano spesso in forma di farsa. Si prenda ad esempio la faccenda dell'invio di tremila uomini in armi [carabinieri e altre specialità delle forze armate] in Iraq, a proteggere, dice il governo, i convogli umanitari. Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, l'Italia, che pure era alleata di Germania e Austria-Ungheria, dichiarò la sua "non belligeranza": un anno dopo, dichiarò guerra ai suoi ex alleati. Nel 1939, l'Italia fascista, che pure aveva stretto un "patto d'acciaio" con la Germania, dichiarò la sua "non belligeranza", mentre le armate hitleriane invadevano prima la Polonia e poi la Francia. Circa nove mesi dopo, si racconta, Mussolini disse: "Abbiamo bisogno di qualche migliaio di morti da gettare sul tavolo della pace", e dichiarò guerra alla Gran Bretagna e a una Francia sul punto di arrendersi.
Passato più di mezzo secolo, Berlusconi replica, forse senza nemmeno saperlo, quelle due tragedie. Ma, appunto, con lo stile del cabaret. Il filo logico, diciamo così, è questo: la guerra è finita, gli americani hanno vinto, c'è una bella porzione da prendere. C'è però un problema: abbiamo dichiarato di essere un paese "non belligerante", anche perché la guerra non ha alcuna legittimità, dal punto di vista delle leggi internazionali ecc. Dunque, come si fa a gettare qualche migliaio di carabinieri sul tavolo della pace? Idea: dicendo che vanno lì per proteggere gli aiuti umanitari, che, nel clima di saccheggi, disordine e violenze in cui l'Iraq è precipitato, corrono rischi.
Del nostro paese amiamo molte cose, moltissime. Bisogna però riconoscere che noi, gli italiani, abbiamo molti difetti. Specialmente le nostre classi dirigenti. Che non resistono alla tentazione dell'imbroglio [parola che viene citata, in ogni angolo del mondo, in italiano, come "pianissimo" per la musica, "spaghetti", ecc.]. Le cose che il ministro degli esteri Frattini, per conto di Berlusconi, va dicendo in giro sono così puerili che le opposizioni, se non condividessero quello stile, dovrebbero insorgere e arrampicarsi sui banchi del governo, come usava quando l'opposizione era una cosa seria.
Primo: la guerra non è finita per niente, e anzi si allarga, come dimostrano le minacce martellanti alla Siria. Secondo: il caos in Iraq è il frutto della guerra ed è stato lasciato dilagare dagli anglo-americani per incapacità e per qualche scopo, che ha a che fare con la ricomposizione di un governo fasullo ai loro ordini. Terzo: portare aiuti umanitari con le armi è proprio ciò che non bisogna fare, se si vuole evitare di apparire una parte in conflitto, e non parte neutrale interessata solo alla sopravvivenza delle persone, e infatti Emergency va avanti e indietro da giorni, disarmata. Quarto: il desiderio di far quadrare una obbedienza canina agli Usa con gli interessi delle imprese italiane - che vogliono aggiudicarsi qualche appalto per ricostruire con i soldi del petrolio iracheno quel che le bombe americane hanno distrutto - è talmente trasparente che solo Francesco Rutelli riesce a non vederlo. Quinto: la guerra era illegale quando è cominciata, e lo resta anche se i bombardamenti sulle città sono finiti.
Quest'ultimo punto è quel che dovrebbe convincere Ds e Margherite a votare contro. E infatti D'Alema, un paio di giorni fa, ha detto che senza Onu, ecc. Ma, nel frattempo, gli strateghi dell'Ulivo devono aver calcolato che: a] aiutare la gente in Iraq, sebbene con le truppe, non è poi così orribile; b] gli industriali sono essenziali, se si vogliono vincere le elezioni; c] ancora più essenziale è, sebbene con distinguo, diciamo sulla linea di Blair, allinearsi al grande fratello di Washington. E che, infine, per invocare l'Onu ecc. perché scongiuri la prossima guerra, quella alla Siria, c'è sempre tempo.
Non c'è da vergognarsi? Macchè. Eppure, sarà un'impressione, sarà un eccesso di ottimismo, ma girando per le città l'impressione è che le bandiere della pace, alle finestre, invece di scomparire si stiano moltiplicando. Magari, questa volta i furbastri dell'Ulivo pagheranno dazio per tutti i loro "se" e "ma" e "cosa mi conviene?" [il 25 maggio si vota in molte città e province: tenetelo a mente, al momento di tracciare una croce]. E anche fermare un treno carico di carabinieri, forse, è più facile che con quelli della Us Army.

21.4.03

13/04/2003

 
Bush: La mia vittoria
di Stefano Benni

Sono George Wermacht Bush, presidente della più grande ex-democrazia del mondo. Prima di partire per il week-end nel mio chalet, dove mi distrarrò pescando le trote col mitra, vorrei tenere una breve e vittoriosa conferenza stampa. Saluto i giornalisti presenti: riportate fedelmente le mie parole e non spaventatevi se vi parlo dalla torretta di un carro armato. Mi piace stare quassù: niente come le armi eccita chi ha schivato il militare, come ha fatto il sottoscritto, e quasi tutti i senatori Usa. Il primo passo verso la liberazione dell'Iraq, del Medio Oriente, e del mondo è compiuto, ma il campionato è lungo e molto resta da fare. Abbiamo abbattuto la statua del rais, simbolo di una tirannia obsoleta. Quando hai i B 52, non hai bisogno di una grande statua perché la gente ti guardi dal basso. In Iraq lo scontro è stato preventivo ma duro. Sapevamo di avere di fronte un avversario preponderante, con un'aviazione micidiale, missili di ottima annata, armi chimiche e di sterminio totale. Ed ecco la prima subdola mossa del nemico. Esso ha nascosto il suo terrificante potenziale militare causandoci non poche difficoltà. Le centinaia di caccia iracheni non sono decollati, mettendo in crisi la nostra aviazione che li cercava giorno e notte. I missili che molto astutamente avevamo fatto distruggere dagli ispettori Onu non sono partiti. I tank avevano la targa babilonese. Le armi chimiche non c'erano, abbiamo trovato solo atropina, calzini vecchi e magnesia. Adesso ci toccherà di trasportare un po' di schifezze sul posto. La Bayer ci manderà medicine tossiche come il lipobay, McDonald's il suo famoso Blob Burger. Berlusconi ci ha promesso la discarica di suo fratello. Soldati in mutande si sono arresi ai nostri tank che li hanno spalmati sulla sabbia del deserto. Non siamo venuti qui per caricare autostoppisti. Il grande esercito iracheno ha astutamente finto di essere male armato, affamato, antiquato.
A questo punto, come potevamo combattere una guerra senza nemico? Avremmo dovuto dare ragioni ai nostri detrattori, quelli che dicevano che Saddam poteva essere disarmato in pochi mesi dall'Onu. Non ho niente contro l'Onu, anche se preferisco il Rotary. Credo anzi che il lavoro degli ispettori sia stato molto utile: gli abbiamo fregato le mappe delle caserme e dei depositi, e abbiamo sparato sul sicuro.
Ma questa guerra aveva bisogno di un po' di suspence, e per fortuna c'era Saddam. Lui è servito a dare dignità di operazione militare a questo tiro al bersaglio. Bisognava eliminare il rais, e poiché si spostava come una talpa, dovevamo cacciarlo. Nel corso di questa caccia abbiamo colpito: Tre mercati, due ospedali e una televisione. Un albergo, una scuola e due quartieri residenziali. Un tot di civili e soldati iracheni. Cento soldati inglesi a piedi e in elicottero. Cinquanta soldati americani. Un imprecisato numero di curdi, tanto quelli non li conta mai nessuno. Un gruppo di giordani. Undici afghani. Un cameraman ukraino e uno spagnolo. Un camion di mamme e bambini. Cinque addetti d'ambasciata russi (l'ambasciatore ci è scappato... pardon si è salvato). Una suora in motorino. Un'ambulanza della Croce Rossa. Diversi villaggi sospetti di essere siti chimici. Così imparano a cucinare i peperoni. Abbiamo ucciso Alì il chimico, Fatima la tossica, Mohamed il velenoso e Selim il boleto. Siamo rimasti vivi solo noi: George l'ubriacone, Rumsfeld il cocainomane, Osama il dialitico e Saddam il clonato. Per ultimo, abbiamo tentato di colpire Lilli Gruber, scambiata per il rais. E' vero, non gli somiglia molto, ma era a trecento metri e aveva un microfono in mano.
Naturalmente ora che è caduta Baghdad ci toccherà di accoppare anche Saddam, anche se la Cia preferirebbe prenderlo vivo e surgelarlo insieme a Toro Seduto e a Khomeini, magari torna buono tra qualche anno. Poi ci prenderemo il petrolio, e gestiremo le faide e le vendette di questo paese. Correrà altro sangue, ma pazienza. Siamo indifferenti sia alla gioia di alcuni iracheni per la fine della tirannia, sia alla resistenza disperata di altri: i primi li fotografiamo, i secondi li massacriamo. Quello che ci rode è che, a onta dei molti megafoni della nostra propaganda, sappiamo bene che alla fine non riusciremo a passare per liberatori. Ahimè, questa volta siamo stati smascherati.
Ebbene sì, cari sudditi americani e alleati: siamo la razza eletta e l'esercito più potente del mondo, ma abbiamo alcuni difetti. Combattiamo sempre cinquanta contro uno, inventiamo i motivi delle guerre, torturiamo i prigionieri, spariamo sui civili, e diciamo un sacco di bugie. Ma nell'inventare e riciclare Nemici Terribili e Potentissimi siamo i migliori. E li scegliamo sempre capi di un popolo impoverito e sofferente.
A questo punto sarebbe un peccato sprecare questa nostra abilità. Questa invasione non ci basta, questo petrolio è poco, le fabbriche di armi non possono fermare la produzione, Rumsfeld ha comprato gli anfibi nuovi, abbiamo bisogno di un nuovo nemico, subito. Il mondo pagherà l'offesa di averci isolato, i pacifisti di averci sputtanato, il papa di averci sgridato. Siamo un popolo pacifico, ma nei prossimi anni triplicheremo la spese militari. Siamo un popolo democratico, ma la Cia ha ripreso a schedare insegnanti, giornalisti e intellettuali. Siamo un popolo multietnico ma in mano a un elìte di straricchi bianchi.
Avete visto le prime nostre reazioni alla caduta di Baghdad? Cheney ha detto, vaffanculo l'Onu, l'Iraq lo ricostruiamo noi. Rumsfeld ha detto, non cesseremo il fuoco finché l'ultimo uomo di Saddam non sarà morto. Powell si è lamentato perché Osama non si fa vivo. Bolton ha detto: l'Iraq serva di monito a Siria Iran e Corea del Nord. Vi sembrano frasi che segnano l'inizio di un periodo di pace? Io non mi aggiungerò a queste voci minacciose, a me interessa solo essere rieletto e che la Esso mi dia il sette per cento sui barili. Però vi faccio notare che in Cina sono spuntati questi scarafaggi portatori di polmonite. Ieri, alla Casa bianca, ne è stato visto uno rubare un chicco di riso. Non siamo paranoici, ma se i musi gialli vogliono iniziare la guerra blatto-batteriologica, abbiamo abbastanza armi nucleari da disinfestare tutto il loro obeso paese. Siamo un paese pacifico, ma l'igiene prima di tutto.
L'operazione guerra infinita è iniziata. Nessuno si stupisca. Vi interrogate, giustamente, sul perché in tanti odiano l'America. Cominciate anche a chiedervi perché tanti americani odiano il resto del mondo.
Perciò cari giornalisti e operatori, quando tornerete al vostro giornale o alla vostra televisione, se li troverete ancora, diffondete al vostro pubblico questa notizia: da oggi nessuno è al sicuro. Parafrasando un fottuto scrittore americano filocubano comunista: non ti chiedere mai per chi suona la sirena. Essa suona per te. Arrivederci e andate con Dio. Il mio, non quello del papa


13.4.03

10/04/2003

 
La festa è finita
di Robdinz

I “liberatori” sono tornati nei carri, negli autoblindo. Le jeep “Hammer” hanno ripreso a fare le staffette per le strade della città. I 150/200 giovani iracheni che erano serviti come comparse per la festa in mondovisione in Piazza Paradiso sono scomparsi. Tornati nelle loro case senza luce e senz’acqua. Ma con i pacchi di cibo che gli sono stati donati dai “furieri” dell’armata americana. Ed i combattimenti sono ripresi: a Saddam City, lungo la Shaab, sulle due sponde del Tigri, intorno a ciò che rimane del Ministero dell’Informazione. Combattimenti duri ed impari. I marines si confrontano con uomini e ragazzi che impugnano armi leggere e perfino bottiglie incendiarie.
I cannoni e le mitragliatrici rispondono schiantando sulle facciate delle case migliaia di proiettili che sbriciolano infissi e finestre, fanno saltare i vetri inutilmente coperti di nastro adesivo.
Ed ancora sangue, feriti e vittime che sembrano non interessare più nessuno. Certo interessano e preoccupano quella parte della stampa che alloggia al “Palestine” e che non ha accolto come “liberatori” i soldati che di forza hanno fatto irruzione nell’hotel, scandendo ad alta voce e ritmando i nomi dei colleghi uccisi dal fuoco amico dei “liberatori”.

Sara
Sara è una giovane fotografa europea “ufficiale”, a Baghdad con un contratto a tempo per conto di una importante agenzia stampa. Sara ha sempre seguito diligentemente tutte le indicazioni che le venivano fornite dai funzionari del Ministero dell’Informazione, è in possesso di tutti i visti, i passi e le autorizzazioni necessarie per lavorare alla “luce del sole” nella capitale. Per due settimane Sara è rimasta nella sua stanza d’albergo con l’obiettivo puntato verso l’esterno. Pronta a correre fuori ogni qualvolta si presentava la possibilità di uscire con i pullman messi a disposizione dalle autorità irachene per arrivare nelle aree della città dove i funzionari del Ministero avevano deciso di portare i giornalisti. E così sono andate avanti le giornate di Sara, giovane fotografa alla sua prima esperienza come inviata di guerra, nell’inferno di Baghdad. Fino ad oggi. Fino all’arrivo dei “liberatori”.
Passato l’entusiasmo derivato dall’ abbattimento della statua un po’ buffa e un po’ tragica di Saddam Hussein, Sara ha pensato davvero che Baghdad fosse stata “liberata”. E allora, cosa stare a fare lì in mezzo alla piazza in “festa”?
Sara si è buttata a piedi per le strade subito dietro il “Palestine” e lo “Sheraton”. Gli autoblindo ed i carri armati erano messi di traverso e puntavano le armi contro centinaia di civili niente affatto desiderosi di unirsi ai “festeggiamenti”. Poco oltre e Sara assiste ai primo scontri a fuoco: militari americani che inseguivano uomini e donne sparando raffiche di mitra, carri armati che salivano e scendevano dai marciapiedi tritando sotto i cingoli tutto quanto si trovavano davanti come automobili, biciclette, carretti di legno.
E poi i colpi di cannone, secchi che mandavano in frantumi le facciate delle case, con la popolazione che usciva piangendo, terrorizzata. Sara ha paura. Si ferma. Scatta una dietro l’altra una serie di foto. Non crede ai suoi occhi Sara: ma come, pensa, Baghdad non è stata “liberata”?
Una jeep dei marines si avvicina da dietro, scendono tre soldati mentre uno rimane alla guida. Le chiedono i documenti, i passi e le autorizzazioni. Lei, che ha tutto, li mostra senza timore. Poi le viene detto che non poteva fare foto, perché quella era zona di guerra. Ma siamo a centocinquanta metri dagli alberghi dei giornalisti, prova a giustificarsi. Le sequestrano le pellicole, e dopo averle strappato dal collo uno degli accrediti le ordinano di andare via, di tornare in albergo.
Sara, con la preoccupazione di salvare le sue macchine fotografiche, si incammina tornando sui suoi passi.
Ancora una raffica, ancora colpi, ancora urla,pianti, ancora quei rumori e quei tonfi di vetri esplosi. E poi ancora urla, pianti, quei rumori e quei tonfi...
Ritornata sulla piazza, la grande statua di Saddam stavolta è a terra. Decapitata. Sul basamento di cemento gli stivali di bronzo del rais appaiono come flosci, piegati su loro stessi. La festa è finita. Solo carri armati e soldati.
Ma nel silenzio ritrovato si sentono, proprio lì dietro a due passi, ancora raffiche di mitra, ancora colpi, ancora urla, pianti, quei rumori e quei tonfi di vetri esplosi.
Che la notte sia leggera.


10.4.03

05/04/2003

 
La bomba al panzanio
di Stefano Benni

I mortiferi B 52 , le testate chimiche, le bombe a grappolo, la minibomba nucleare a gittata federalista, la superbomba tagliamargherite. Ma fra tutte le armi impiegate in questa sporca guerra la più letale è senz'altro la bomba P, ovvero bomba al panzanio arricchito, quella che esplodendo sparge intorno a sé decine di panzane, bugie e omissioni, notizie false e sfilate di tank al posto dei corpi massacrati. E' molto più potente della vecchia Bomba Propaganda, usata da ogni esercito e regime. E' centuplicata dai caporalmaggiori dell'informazione, ed è pianificata nei computer della Cia, il cervello paranoico della più grande ex-democrazia del mondo. Ecco alcune delle bombe al panzanio già scoppiate o pronte a esplodere. I marines hanno occupato l'aeroporto di Baghdad senza incontrare resistenza. Purtroppo durante la scaramuccia un colpo di bazooka ha centrato il nastro dei bagagli. Un gruppo di passeggeri di ritorno dalla Maldive, esasperato dal ritardo, ha attaccato le forze angloamericane con inaspettata violenza, facendo uso di armi chimiche quali spray antizanzare. La battaglia in corso è dura, ma l'aeroporto sarà conquistato entro poche ore o qualche mese.
Le truppe inglesi hanno il completo controllo di Bassora.
L `esercito americano è entrato a Baghdad tra due ali di folla festante. Non un solo colpo è stato sparato. I bambini festanti e superstiti mostravano ritratti di Bush e Topolino. Un uomo è andato incontro al marines ed è letteralmente esploso per la gioia. Una donna, bombardata in ospedale, ha dichiarato che lo choc l'ha liberata da una forma d'asma di cui soffriva da anni. Il Pentagono ha accertato che i missili caduti sul mercato di Baghdad non sono americani, ma sono stati lanciati da un'associazione di consumatori iracheni esasperati dal rincaro delle verdure.
Le truppe inglesi sono entrate a Bassora malgrado la strenua resistenza opposta dal fuoco amico. Ora Bassora è tutta controllata a eccezione delle case con numeri dispari.
Sono state trovate nelle città irachene numerose bombe atomiche di fabbricazione cinese, oltre a dodici campi d'addestramento per terroristi travestiti da campi di calcio. L'operazione antiamericana era stata chiamata in codice "campionato di serie A".
I marines hanno sotto controllo la sala Vip e metà delle piste dell'aeroporto di Bagdad, ma per uno sciopero dei controllori di volo non possono ancora far atterrare i B 52.
Nessuno screzio tra Rumsfeld, Powell e i generali americani. In un cordiale incontro svoltosi al Pentagono tutti sono stati d'accordo sulla bontà della strategia usata e sulle tattiche future. Lo stesso Rumsfeld è uscito dalla sala per incontrare i giornalisti. Alla domanda: come mai è venuto qui lanciato dalla finestra, Rumsfeld ha riposto: avevo fretta di parlarvi.
Non ci ha mai interessato il petrolio, ha detto Bush in conferenza stampa, non sapevo neanche che in Iraq ci fosse il petrolio. Quando ero socio con Bin Laden lui me lo diceva sempre, ma pensavo che scherzasse. Non è vero che sono pagato dai petrolieri e dai mercanti d'armi. E' come dal benzinaio. Mi danno un bollino-premio ogni dieci nemici eliminati. Ho già vinto la giacca militare e lo stereo, con altri mille punti prendo il telefonino.
Nessun lite tra Tony Blairforce e George Wermachtbush sul futuro dell'Iraq. Secondo Blair il governo dell'Iraq dovrà essere retto da iracheni, mentre per Bush il parlamento sarà locale ma il presidente del consiglio potrebbe essere un tecnico o un bipartisan. I candidati sono: Arnold Schwarzenegger, Laura Bush e il presidente della Esso.
Gli inglesi sono entrati a Bassora, sono usciti di slancio, hanno passato due volte il Tigri e l'Eufrate, poi hanno fatto un'inversione a U e sono stati visti dirigersi verso la periferia di Istanbul. Si ignora dove siano adesso.
Bush ha detto che la vittoria è vicina. Saddam gli ha riposto in televisione che vincerà lui. Bush ha detto che la risposta di Saddam era una videocassetta registrata e sullo sfondo si vedeva un albero di Natale. Saddam ha replicato che Bagdad ha viveri per sette mesi. Bush ha chiesto altri duecentomila soldati. Saddam ha detto che ha usato solo un terzo delle forze. Bush ha detto che ce l'ha più lungo. Saddam ha tirato giù le braghe a un sosia. Questi sono uomini.
Non si hanno notizie sulla sorte di Bin Laden ma pare che stia per ricomparire con un video molto costoso diretto da Spielberg.
I marines hanno conquistato l'aeroporto di Bassora dopo aver piegato la resistenza delle truppe inglesi, o viceversa, attendiamo notizie più precise.
Il Pentagono ha precisato che Peter Arnett è stato licenziato non perché aveva parlato male dell'America, ma perché aveva parlato al telefono con Luttazzi.
Notizie dalla più grande base militare Usa del mondo, Camp Italy. Il presidente Ciampi ha dichiarato che non manderemo soldati italiani in Iraq per una decisione autonoma e sovrana, ovvero perché non ce li hanno chiesti. Il premier Silvio W. Berlusconi, borsanerista e approfittatore anche in tempo di pace, approfitta naturalmente della guerra per fare affari, per impossessarsi di Mediobanca e del Corsera, per tentare di salvare il soldato Previti e per far passare la legge Gasparri che secondo il premier prevede entro il 2005 la sostituzione della Pay Tv con la My Tv. Il balilla Casini, tanto imparziale da essere ormai definito il Moreno della Camera, ha difeso il privilegio che guida ogni giorno e ogni atto dell'illegalità democratica italiana, cioè la prepotenza di comportarsi da maggioranza anche quando non lo si è più. Il ministro Pisanu ha detto che i pacifisti devono isolare i provocatori e i violenti, e i pacifisti hanno risposto che loro Fini non lo vedono da mesi. Il ministro dei Rapporti con il parlamento americano, Cipollino Frattini, ha detto che i parà usciti dalla caserma di Vicenza non sono andati in guerra. Metà sono a puttane e metà galleggiano in aria per un gioco di correnti ascensionali. Dopodiché Berlusconi, proprietario del novanta per cento dell'informazione e della pubblicità, ha detto che sui giornali i pacifisti antigovernativi hanno anche troppo spazio, e che le bandiere rosse sono un simbolo sanguinario e lo spaventano, perché i fascisti come lui se le sono trovate troppo spesso contro durante la resistenza. Per finire, ha ribadito che la ricostruzione dell'Iraq non gli interessa. Il depliant degli oleodotti Fininvest era già stato stampato prima della guerra.
Questa ultima bomba P è sembrata troppo grossa anche agli americani per sganciarla.
Bassora è stata conquistata dai turchi.
Le truppe americane controllano finalmente l'aeroporto di Damasco. E' un errore scusabile, ha detto Powell, non capiamo la segnaletica araba.
E anche quella cinese, ha aggiunto Rumsfeld.
Il ruolo dell'Onu nella ricostruzione nell'Iraq è ancora da definire, ha detto Powell. Ma potrebbero aiutarci a caricare le taniche.
Nell'ultima conferenza stampa prima di partire per il week -end, Bush ha dichiarato: non abbiamo mai confuso il terrorismo di Geronimo con il popolo pellerossa, e la riprova è che gli Apache hanno mantenuto la propria nazione e un parlamento autonomo. Inoltre sono già pronti gli aiuti umanitari per i bambini siriani e coreani. Chi vuol capire, capisca.

5.4.03

02/04/2003

 
Vergogna, vergogna, vergogna!
di Pierangelo Rosati

Chiunque pensi che in Italia ci siano degli imbecilli al governo, si sbaglia di grosso, perché all'opposizione c'è anche di peggio. Non solo incapaci di gestire il dissenso alla guerra della stragrande maggioranza degli italiani, il più vasto e determinato movimento d'opinione nella storia della repubblica, ma abilissimi a dividerlo in buoni e cattivi, a smontarne ogni velleità di incidenza reale, a sedarne ogni desiderio di protagonismo. Perché protagonisti devono essere loro, i vari fassini, i rutelli e i veltroni a stellestrisce, che non intendono neanche per un attimo farsi rubare la scena da qualche milione di inutili pacifisti. Se la regia lo richiede, i fassini di turno sono pronti ad accettare di essere processati in estenuanti dibattiti, utili solo a spostare l'attenzione dalla tragedia reale alla farsa da avanspettacolo della politichetta italiana, improvvisando deboli linee difensive e arrancando fra misere giustificazioni e giuramenti di fedeltà all'"amico americano".
Così avviene che vadano da soli a chiudersi nel vicolo cieco della polemica sul "neneismo": si obbligano a schierarsi; su cortese sollecitazione del governo capiscono che non possono restare "né con Bush, né con Saddam", né gli viene in mente che potrebbero scegliere di schierarsi per la vita contro la morte, da qualunque parte venga. Trovano più comodo, invece, parteggiare apertamente per il politico "buono", ribadire sovente e a piena voce, molto più di quanto faccia lo stesso Berlusconi, gli storici legami di amicizia con gli USA, campioni di libertà e democrazia. Chi pensa, come il sociologo svizzero Ziegler (vabbè, ma è un socialista) o come il presidente francese Chirac (socialista anche lui?), che l'unico scopo di questa guerra sia la persecuzione dell'assoluta egemonia economica e militare, viene tacciato – non dal governo, ma dagli zelanti fassini – di bieco antiamericanismo. Sarà antiamericano anche il turpe Luttwak, che queste cose le ha dette già da due anni, preconizzando il futuro attacco all'Iraq; sarà antiamericano anche il 70% del popolo americano, che pragmaticamente riconosce che il petrolio possa essere motivo sufficiente per una guerra.
Ci sono delle differenze, dicono gli avveduti fassini, non possiamo mettere sullo stesso piano Saddam e Bush, spietato dittatore l'uno ed equilibrato democratico l'altro. Certo che non li si può mettere sullo stesso piano, del primo non possiamo essere certi, ma del secondo sappiamo che le armi di distruzione di massa le ha e le usa; il primo quanto meno finge di attenersi alle delibere dell'Onu, il secondo ne fa direttamente carta da culo.
Ma, non ancora contenti, i fassini inventano una nuova polemica, se possibile ancora più sterile della prima: meglio una guerra lunga e penosa o una vittoria americana in tempi brevi? La questione, degna di un sondaggio da quotidiano sportivo, ma infame per la carica di cinismo che assume rapportata alla realtà del sangue versato e delle vite spezzate, sottintende con perfida malizia che, a guerra iniziata, il pacifismo diventa disfattismo e quindi non può che generare più vittime. Un'equazione farneticante che i geniali fassini, che adorano i quesiti matematici, sono ben lieti di analizzare nei soliti dibattiti pubblici con nani e ballerine, cadendo nella trappola di trasformare, ancora una volta, una efferata catastrofe in un esercizio accademico, quando non in mero tifo da stadio. Come se fare il tifo per la vittoria americana potesse cambiare le sorti e le conseguenze della guerra. Come se, più del peso delle vittime, fosse importante stabilire chi sarà il vincitore. La notte degli Oscar, per forza di cose, è passata sotto tono, ma c'è ancora qualcuno cha ha voglia di annunciare "and the winner is...". Un semplice umano buon senso dovrebbe suggerirci che non sappiamo se ci saranno vincitori, ma sappiamo perfettamente chi sono, già ora, i perdenti: la povera gente che subisce le nefandezze di questa, come di tutte le guerre. I morti, i feriti, i profughi, i prigionieri, gli affamati, i futuri terroristi che oggi imparano a odiare, le vittime che vengono citate solo per affermare che non bisognerebbe mostrarle in televisione... sono il "male minore", gli "effetti collaterali" dell'impegno americano per l'esportazione della democrazia, la stessa che hanno di volta in volta esportato in Cile, in Guatemala, a Grenada, a Panama... un concetto non molto diverso da quello di esportazione del comunismo che fu tanto caro a Stalin.
Ci sono delle differenze, direbbero gli avveduti fassini, ma resta il fatto che bombe e carri armati si assomigliano tutti.

 

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