PIRATERIA DIGITALE

Un marchio per il falso d'autore

di PIERANGELO ROSATI (HOBO)

AVREBBE POTUTO fornire materiale di studio a Walter Benjamin con il suo marchio Mixed by Erry che prometteva una qualità spesso migliore dell'originale. Invece Enrico Frattasio, il re napoletano del "falso d'autore" è finito in manette, fra i proclami vittoriosi degli inquirenti, certi di aver inferto un duro colpo alla criminalità, e la curiosità di chi vorrebbe riuscire a cogliere qualche sfumatura in più in questa storia che vede intrecciarsi questioni di economia del mercato sommerso e di storia sociale dell'arte. Se, come diceva Marcel Duchamp, l'atto della selezione deve essere considerato una forma di ispirazione originale, è molto discutibile il confine fra "riproduzione" e "invenzione", e senz'altro la contrapposizione fra le idee di "originale" e "falso" assume un aspetto che è solo economico, di difesa di un diritto, quello d'autore, che si trasforma nel diritto di monopolio su tutte le forme di ispirazione derivate dall'originale.

Contaminati da Erry

Quelli di Erry non sono falsi in senso stretto, non nascondono vizi o differenze dall'originale, sono esattamente gli stessi dati digitali presentati in un'altra forma; egli stesso lo sottolinea apponendovi la sua etichetta ed esibendola ossessivamente, a garanzia della qualità dei suoi dischi, valorizzandoli non soltanto rispetto alle cassette duplicate malamente che si possono trovare a migliaia sulle bancarelle dei vicoli napoletani, ma anche rispetto alle scelte di mercato delle grandi case discografiche accusate di speculare sulla vendita dei dischi e di marginalizzare la scena musicale nostrana. Di fatto, tanta era la popolarità di questi prodotti, che qualcuno aveva perfino cominciato a produrre dei falsi Mixed by Erry, contribuendo ad aumentare, come in un vorticoso gioco di specchi, il senso di illusorietà e la perdita del senso di ogni possibile distinzione fra l'originale e la sua copia.

Ma alle case discografiche riunite nella Fpm (Federazione contro la Pirateria Musicale) non bastano né tutto questo filosofeggiare, né le considerazioni di carattere sociale sui bisogni di chi sbarca il lunario vendendo cassette duplicate, piuttosto che dedicarsi ad altre attività egualmente illegali e forse più lucrose come il furto o lo spaccio di droga. "La pirateria ammazza l'industria", è lo slogan della Fmp, e probabilmente il sogno segreto di alcuni è quello di riuscire a mettere sullo stesso piano di illegalità falsari e assassini; forse più criminali i primi, perchè attentano non al semplice individuo, ma alle regole del mercato.

Eppure le stesse leggi dell'economia liberista non sono così lineari come possono sembrare ad una visione superficiale. Infatti, non è per niente dimostrato che, stroncando il mercato clandestino, aumentino le vendite legali. Piuttosto, è empiricamente dimostrato che la repressione del "mercato nero" non fa aumentare i profitti dell'industria discografica e gli entroiti rimangono, nel migliore dei casi, rimangono invariati. I dischi non sono il pane e se ne può anche fare a meno se il prezzo dei Cd originali arriva a 40.000 lire. Chi compra dischi (e il discorso vale anche per il software) "pirata", molto spesso si sta concedendo un di più; l'alternativa che si pone non sta nell'acquistare l'originale, ma nel non acquistare nulla.

Alla luce di questa semplice constatazione, appare chiaro che i conclamati 221 miliardi spesi dagli italiani in prodotti falsi non possono essere considerati come un mancato guadagno dell'industria ufficiale, né tantomeno come un furto a chicchessia, ma come un plusvalore prodotto da un'industria sommersa che svolge la meno "socialmente pericolosa" delle possibili attività illegali. Allo stesso tempo, l'arma migliore per combattere la pirateria potrebbe essere quella di una drastica diminuizione dei prezzi, che darebbe nuovi impulsi alla crescita del settore.

Italia sotto controllo

L'efficacia di questa politica è già stata dimostrata in altri ambiti, come quello del software, in cui negli scorsi anni alcune case produttrici, fra cui la Borland, hanno deciso di fare concorrenza agli stessi pirati, vincendo sul terreno della competitività economica e imponendosi ai primi posti sul mercato. Ma lo hanno dimostrato anche i gestori delle sale cinematografiche italiane che, con un lieve ritocco sul prezzo del biglietto, sono riusciti a ridare respiro a un settore che sembrava in agonia a causa della pirateria. In questo momento, invece, la tendenza sembra essere quella repressiva: si chiudono attività per violazione dei regolamenti Siae, si chiedono leggi sempre più restrittive e sempre più punitive, si organizzano manifestazioni pubbliche con la presenza di artisti come i Pooh e Amedeo Minghi che, su una schiacciasassi, distruggono simbolicamente cassette e Cd sequestrati. Forse anche per dare all'estero un'immagine dell'Italia diversa da quel popolo di poeti, eroi, santi e pirati che siamo: la Iipa (Intellectual property alliance), tiene da tempo sotto stretto controllo l'Italia, stimando un danno di circa 51 milioni di dollari nei confronti dell'industria discografica statunitense. E il governo Usa minaccia sanzioni.

il manifesto. Ali Babà 11 giugno 1997