il manifesto 01 luglio 1999


SERVITU' MILITARI

Tenete giù la testa, Innu: aerei italiani a bassa quota

Una base in Canada per rifare il Cermis in un territorio di proprietà degli indigeni

PIERANGELO "HOBO" ROSATI

E se a causare un Cermis, in un paese lontano, fossero aerei militari italiani?

Il carattere "etico" della recente guerra nei Balcani non solo è servito a giustificare le attività e la massiccia presenza di basi militari sovranazionali, ma ci ha abituati a subire i cosiddetti "effetti collaterali". Se la tragedia del Cermis fosse avvenuta nei giorni dei raid della Nato, durante una delle tante operazioni di bombardamento sulla Serbia, probabilmente le reazioni sarebbero state molto diverse. Le venti vittime innocenti causate dalle acrobazie a bassa quota di un aereo militare statunitense sarebbero state un semplice effetto collaterale, spiacevole ma inevitabile. Soprattutto, nessuno avrebbe messo in discussione la necessità operativa dei voli a bassa quota.

Tant'è che oggi, a poco più di un anno di distanza da quella tragedia, il generale Ristori, dello stato maggiore dell'aeronautica militare italiana, non si pone neanche più il problema di avallare la tesi ufficiale per cui i voli a bassa quota non sarebbero mai stati autorizzati dalle autorità militari. Non solo: si lamenta perfino del fatto che, dopo la tragedia, in Italia queste utilissime prodezze aeronautiche non sono più consentite.

L'Aeronautica militare italiana ha infatti acquistato - lo scorso 2 giugno - dal governo canadese i diritti decennali di concessione di una base militare nel Labrador, per far addestrare i propri piloti di Tornado e Amx, appunto con sorvoli a bassa quota del vastissimo territorio della Goose Bay, abitato dalla popolazione indigena degli Innu.

I piloti sono felici

Già da alcuni anni l'Italia partecipava in quell'area a programmi di addestramento Nato, ma "dopo la tragedia del Cermis", ha dichiarato il generale Ristori in una conferenza stampa tenuta in Canada per annunciare l'allestimento della nuova base, "le autorità politiche hanno deciso di non consentire più voli a bassa quota sotto i mille piedi, il che, pur essendo comprensibile dal punto di vista dei civili, non è accettabile da un punto di vista militare per l'addestramento dei nostri equipaggi, che devono essere preparati per missioni come quelle che stiamo effettuando in Bosnia o in Kosovo. Per questo tipo di addestramento dobbiamo volare sotto i 500 piedi, anche fino a 150 o 100 piedi. L'unica possibilità che abbiamo quella di spostarci in posti come la Goose Bay, dove possiamo svolgere questo tipo di attività".

In realtà, lo stato maggiore aveva a disposizione diverse opzioni che si offrivano in vari paesi come la Polonia, l'Egitto e l'Arabia Saudita, ma ha scelto infine la Goose Bay in Canada, un'area di una bellezza naturalistica incredibile, dove si conta di far volare dai mille ai duemila piloti all'anno ad un'altezza di 100 piedi, cioè circa 30 metri dal suolo, "anche perché volare qui - aggiunge il generale, - con così poche restrizioni rispetto a quelle che abbiamo nel nostro paese, fa sentire i piloti felici di spingersi al massimo delle proprie possibilità".

Molto meno felici sono invece gli Innu, che da sempre vivono su quel territorio e che fra l'altro - ma questo sembra essere uno di quei trascurabili dettagli di diritto internazionale cui la guerra ci ha abituati a soprassedere - ne sono i legittimi proprietari.

Una lettera all'Italia

In una lettera inviata al governo italiano, il presidente della Nazione Innu, David Nuke, espone la sua preoccupazione per gli effetti che i voli a bassa quota potranno avere sull'ambiente, sulla vita e sui diritti delle popolazioni indigene e rende noto che il territorio della Goose Bay è tuttora oggetto di negoziati, non essendo mai stato ceduto ufficialmente al governo del Canada.

"Questi addestramenti pregiudicheranno seriamente la nostra posizione negoziale - spiega Nuke - in quanto elimineranno ogni opzione per gli Innu rispetto alla terra e alla sua futura gestione. (...) Non è una questione interna al Canada, bensì riguarda i diritti di popolazioni indigene, diritti che il vostro paese ha l'obbligo di rispettare".

Nuke continua ricordando che non è mai stata fatta una seria valutazione dell'impatto ambientale che i voli a bassa quota potrebbero determinare in questa che ormai rimane fra le poche isole di natura selvaggia e, facendo riferimento al Cermis, sottolinea con amarezza che "la Nazione Innu comprende e condivide la vostra decisione di rispettare il sentimento della popolazione italiana in seguito a quel terribile incidente. Ci appelliamo comunque a voi perché vi convinciate che esportare questo tipo di pericoloso addestramento in un'altra parte del mondo non è una soluzione del problema, ma un mero trasferimento dei rischi e dei danni ambientali a carico di qualcun altro".

E vogliamo sperare che sia solo un caso che questo "qualcun altro" sia così spesso scelto fra le popolazioni più deboli del pianeta, con scarse possibilità di imporre le ragioni della propria sopravvivenza. Senz'altro, una rinuncia italiana ai voli a bassa quota sulle loro terre sarebbe, una volta tanto, un atto di vera "ingerenza umanitaria", ma probabilmente è chiedere troppo.