Alibabà del 05 Novembre 1997


La pace in gabbia

PIERANGELO ROSATI (HOBO) -

IL PROCESSO a Giovanni Pugliese, pacifista e segretario dell'associazione telematica Peacelink (www.peacelink.it), imputato "per avere a fini di lucro detenuto a scopo commerciale programmi per elaboratore abusivamente duplicati", è stato rinviato al prossimo 27 aprile, per consentire l'acquisizione di ulteriori elementi di indagine.

L'accusa risale al giugno del 1994, e segue di pochi giorni l'operazione di polizia denominata "Hardware 1", dai più ricordata come italian crackdown che, su ordine del giudice Savoldelli Pedrocchi di Pesaro, portò al sequestro e alla chiusura di decine di Bbs (banche dati amatoriali) della rete telematica Fidonet in tutta Italia allo scopo di indagare su una presunta organizzazione per la duplicazione e il commercio illegali del software. Sull'onda lunga del rilievo dato da stampa e televisioni al blitz "antipirateria", anche "Taras Communication", la Bbs centrale di Peacelink, fu inaspettatamente oggetto di perquisizione e sequestro.

Internet era all'epoca accessibile solo dai centri di calcolo universitari, mentre le reti di Bbs, con la loro ingegnosa tecnologia di ritrasmissione da un nodo all'altro attraverso collegamenti telefonici scadenzati, rappresentavano l'unica valida possibilità di comunicazione veloce e potenzialmente capillare per la diffusione anche di quelle notizie che i media ufficiali consideravano marginali o scomode.

Fra queste, Peacelink era, ed è tuttora, una delle reti più seguite e attive nei campi del volontariato sociale, del pacifismo e della lotta contro la mafia, e c'è chi pensa che qualcuno abbia voluto mettere a tacere proprio questo tipo di impegno, accusando il suo coordinatore Giovanni Pugliese di usare la Bbs per trafficare in software pirata.

Chi all'epoca ha avuto modo di conoscere e utilizzare le Bbs di Peacelink, non può avere dubbi circa la liceità e la correttezza delle attività svolte: un servizio di volontariato di grande utilità sociale ed assolutamente gratuito; ma il capitano Cazzato, della Guardia di Finanza di Taranto, che, stando a quanto dichiarato in risposta ad un'interrogazione parlamentare, non si era mai collegato perchè "dotato di modem peraltro non abilitato all'accesso a banche dati telematiche private" (sic!), sulla base di informazioni ricevute da "persone degne di fede", ha ritenuto che vi fossero "fondati motivi" per richiedere alla Procura la perquisizione della Bbs "destinata in modo esclusivo ed ininterrotto alle operazioni di riproduzione dei programmi", allegando come documentazione un articolo della Gazzetta del Mezzogiorno a proposito dell'operazione "Hardware 1".

Nessuna prova dunque, se non le voci di quelle anonime "persone degne di fede", che in teoria potrebbero essere le stesse che qualche tempo prima, con un'opera di dissuasione, cercarono di impedire il proseguimento di un corso di "telematica per la pace" organizzato in una scuola di Taranto, o forse gli stessi personaggi dei servizi segreti che, secondo i soci di Peacelink, avrebbero più volte tentato di infiltrarsi all'interno dell'associazione.

Fatto sta che il sequestro della Bbs ha comportato, inspiegabilmente, la distruzione del suo archivio storico, dal quale peraltro si sarebbe potuta constatare l'evidenza delle prove. "Se si indaga su un furto non si cancellano le impronte digitali" sostiene Carlo Gubitosa, con l'indignazione di chi vorrebbe almeno trovare una logica in questa vicenda giudiziaria. Neanche un bit è rimasto come prova e, allo stesso modo, nessuna indagine patrimoniale è stata effettuata per verificare la veridicità del presunto "scopo di lucro".

Tutto quello che risulta a carico di Pugliese è il possesso sul suo computer di un paio di programmi di base senza licenza d'uso, in realtà ad utilizzo esclusivamente privato e non prelevabili dalla Bbs. Ciononostante, e nonostante le varie interrogazioni parlamentari presentate sul suo caso, Giovanni Pugliese rischia di essere condannato al pagamento di una multa di oltre dieci milioni, già inflitta con condanna d'ufficio dal Tribunale di Taranto nel febbraio scorso e, soprattutto di essere etichettato come criminale.

Ma i soci e i sostenitori di Peacelink non si arrendono: hanno lanciato una campagna di sottoscrizione per le spese processuali e vogliono indire a Taranto, in occasione della prossima udienza processuale in aprile, un convegno nazionale in cui sarà anche presentato il libro Peacelink Crackdown (di cui un estratto è già consultabile in internet a www.metro.it/gubi/pck/crackpck.html), scritto da Carlo Gubitosa, con il racconto e la documentazione di questa strana vicenda che fa già parte della storia della telematica in Italia e che rischia di sommarsi ai tanti misteri irrisolti, piccoli e grandi, della nostra repubblica.